lunedì 20 settembre 2010

risposte a Digitalart


Digitalart, Milano 9 ottobre. Io ho risposto così


!o e l’arte

Quanto il panorama offerto da internet (web, social networking, mondi immersivi, mail, informazioni su cellulare) ha inciso sul tuo rapporto con l’arte o sul tuo fare arte (considerando lo svolgimento pratico del tuo lavoro e/o il modo di pensare il tuo lavoro, oppure il tuo ruolo nell’ambito artistico)?


l'arte e me... Già. In questo ME, che è poi il centro della domanda, non c'è un artista. C'è dell'arte, pero. c'è un'estetica, una visione e per chiudersi nel personale, un gusto. Non vivendo dell'arte, ma semplicemente gustandomela, devo dire che la tecnologia mi ha dato modo di esserle più vicino. Nel mio MUVE colleziono arte, spero così di rappresentare un motivo per gli artisti per produrre e per guadagnare, per partecipare ad un processo evolutivo.


Opportunità o invasione

Le opportunità (o le invasioni) offerte da internet hanno cambiato le tue pratiche? Se si, a che livello? Funzionale o anche poetico?


E' incredibile come in un mondo dominato dall' incertezza l' "opportunità" suoni come come "occasione" e perda tutta o gran parte della sua carica ambigua e probabilistica.

Vedo la questione da commentatore esterno, non essendo un artista, ma non posso non rilevare come in questa richiesta di posizione che ci pone la domanda, ci sia una sorta di violazione di un principio di indeterminazione, propria dell'agire, della pratica artistica, sempre in bilico fra queste due sponde.

Opportunità o invasione? probabilmente entrambe o probabilmente si inizia come opportunità e poi si viene invasi, o viceversa.


La distanza

Internet ti ha fatto percepire il mondo dell’arte più lontano o più vicino alla tua quotidianità?


Interessante l'ambiguità di questa domanda. Jacques Derrida elencava le diverse opportunità catastrofiche della tecnologia: inventi la nave e hai inventato il naufragio, inventi il treno e hai inventato il deragliamento. Del web diceva che la sua catastrofe sarebbe stato il sovradosaggio di informazione, una specie di esplosione da colesterolo informativo.


Ora anche qui, l'avvicinamento può produrre proprio questo, lo vivo ogni giorno, e anche altri che con me hanno esplorato il MUVE per eccellenza Second Life, hanno vissuto un eccesso di opportunità di opening, di artisti, di stilemi, di opere, di... tutto.

Credo che si, lnternet mi avvicini all'arte, ma non è necessariamente da intendersi in termini di qualità. E' altrettanto vero però che alcune delle cose migliori che ho vissuto, vengono proprio da li. Sarà un caso?


MUVE

I mondi immersivi (MUVE, multi-user virtual environment, simili a Second Life e Open Sim) sono stati una scoperta, una opportunità, una perdita di tempo, un innamoramento, una notizia sul giornale? O cos’altro? Se i MUVE hanno modificato il tuo modo di vivere l’arte, come lo hanno fatto?


Inutile negarlo, i MUVE, o meglio Second Life è stata, o e continua ad essere una esperienza fondante.

Abbiamo elaborato molto pensiero in proposito e ancora siamo lontani dall'averlo concluso. Quando iniziai questa avventura, ormai quattro anni fa, ho incontrato subito chi come me, anzi prima di me, aveva detto "l'arte viene prima", riconoscendo subito quanto sia essenziale l'esperienza estetica in un mondo user content generated come Second Life, e come questa avrebbe poi trainato gran parte della produzione della sua comunità creativa. Quali sono i frutti di questo lavoro, come si è sviluppato e come sarà il suo futuro, beh, ce lo stiamo domandando proprio qui. E non è che l'inizio.

(PS. "l'arte viene prima" è di Paolo Valente)



Licenza d’uso

Pensi sia necessario proteggere le opere digitali con una licenza d’autore? Se si, che tipo di pratiche metti o metteresti in atto? Che tipo di licenza usi/useresti? E, infine, conosci le licenze Creative Commons?


il futuro delle idee è senza ombra di dubbio una delle sfide più alte alla complessità dei rapporti fra creatività e tecnologia.

In questo futuro già si vedono i limiti del processi che ora mostra la corda: il limite dell'identità, il limite della proprietà, entrambe legate a doppio filo e entrambe inadatte a rispondere alla sfida della dematerializzazione, della condivisione, della ubiquità proprie della cultura digitale.


Al centro di questo dibattito, la proprietà intellettuale assume un ruolo fondamentale proprio nella definizione stessa di creatività, che nel tempo ha avuto ruoli diversi, avvicinandosi progressivamente sino a sembrare indistinguibile, con l'autorialità.

E' ancora così?

Io non lo credo. Credo anzi che l'autorialità debba essere riconsiderata proprio come entità fondamentale, ma non centrale nel processo creativo, e come tale deve essere riconsiderata la relazione fra autore e fruitore, fra autore e collettività, fra autore e cultura.


Seguo da tempo e ho maturato una idea solida sulle licenze creative commons. Pur se imperfette, sono strumenti concreti in mano all'autore per dare una risposta in ambito di copyright al cambio di status che il mondo oggi impone al suo lavoro.

Credo che le CC non siano solo una presa di posizione, ma un atto di responsabilità dell'autore che rimette parte della propria arte in gioco dando alla collettività che lo ha formato, la possibilità di formare altra arte, dunque altri autori.


Visioni e predizioni

Descrivi quella che potrebbe essere l’esposizione ideale per le tue opere (prodotte da te / collezionate / gestite). Oppure fai una predizione: come vedi il futuro dell’arte attraverso le nuove tecnologie informatiche?


Questa domanda è forse quello che più ci permette di essere visionari.

la prima visione riguarda lo spazio.

Quello che mi sembra inevitabile sarà un progressivo cambio di quello che è il luogo del consumo e della fruizione: museo, galleria, insomma quelli che sono stati e sono tuttora i luoghi deputati. Sempre più le cose stanno altrove, e questo altrove sono diversi luoghi fisici, penso ai grandi urban screen, penso al web, ovviamente, e penso ai MUVE.


Già esistono numerosi esempi di come l'arte abbia colonizzato gli ambienti tecnologici, ma anche il contrario, com'è il caso del tales of things project in collaborazione con il london festival of architecture, o al Future Everything Festival di Manchester dove oggetti vengono "taggati" con qrcode e linkati a contenuti nel web.

Non voglio andare oltre, pensando a tutte quelle tecnologie definite come Augmented reality, che permetteranno di avere una percezione più ampia e articolata di opere e oggetti attraverso la sovrapposizione di metadati alla visione dell'oggetto...


La seconda riguarda la materia.

Certo ci saranno sempre tele su olio, sculture in bronzo, ma anche sempre più opere "native" digitali, sempre più opere nate all'interno di ambienti digitali, che non potranno vivere cha alloro interno. Questo cambierà ancora di più sia il modo di intendere l'opera sia di collezionaral, comprarla, condividerla..

Dunque non solo il cambio del luogo, ma il cambio della materia.


Byte. puri byte e fotoni. Penso a un'arte senza costrutto materiale, che come un mutaforma, prende corpo ora in un file ora in una estrusione realizzata con una stampante 3D, ora in una cibachrome o in una qualunque forma noi volgiamo. Sembra fantascienza, ma io credo che ci siamo molto vicini.


martedì 29 giugno 2010

Il mondo non da generalità


Guardatelo mentre si avvicina alla macchinetta. Siamo in un ufficio postale. Deve solo pagare una bolletta della luce. La macchina emettitrice di biglietti spiega che ha la possibilità di scegliere fra le opzioni: pagare, spedire, riscuotere, e pagare con la corsia agevolata.

Guarda l'emettitrice con aria tra il sospetto e lo sconcerto. Cosa deve fare? Si guarda attorno. Forse la signora qui accanto sarà così gentile da spiegare che bottone deve schiacciare fra i quattro presenti, ma la signora si allontana. Vabbè. Ne schiaccia un paio, prende due biglietti. Finalmente un giovane li vicino gli spiega quali dei due è quello giusto. Il ticket inutile, viene riposto in un mucchietto di altri biglietti inutilizzati sulla parte superiore dell'emettitrice.
Non mi venite a dire che è questione di design. almeno, non cercatemi di convencere che il design possa essere una soluzione. No.
Quello che mi fa venire in mente è un pensiero ancora più semplice. Mi fa venire in mente che il mondo è opaco.

Il mondo non spiega il suo senso, non da generalità.
benchè il mondo urbanizzato come lo conosciamo oggi sia ricolmo di indicazioni, simboli, interfacce, ancora oggi noi facciamo resistenza a riconoscerli, e preferiamo agire affidandoci alla nostra percezione, all'intuito, all'esperienza o all'abitudine. La dove questa non è sufficiente, ci perdiamo e ci affidiamo all'errore come più efficace strumento di conoscenza. Sbagliando, si impara.
Il mondo intorno a noi si rifiuta di dichiararsi, rimane al di la delle nostre esperienze, una alterità. Il fiume, la montagna, l'emettitrice di biglietti della posta non sappiamo che cosa vogliono dirci.
E' incredibile con quanta ostinazione cerchiamo di far parlare il mondo. Ci è d'altronde necessario, come l'acqua e il sole.

dice Rudolf Kurtz « ... Il mondo fenomenico non è un disordinato miscuglio [...] che si presenta come una espressione mobile e variopinta. L'uomo si immedesima necessariamente in questo fluttuare, e di questi momenti egli vive in maniera meramente emotiva talune intensità che non si manifestano all'esterno. É il contenuto emozionale della natura stessa che non viene dato tangibilmente negli oggetti, ma che viene inevitabilmente condiviso e sentito. Solo questa condizione psicologica rende possibile considerare la natura come un materiale estetico: solo con esso lo stile e la disposizione spirituale divengono produttivi. Anch'essa deve venire fotografata, altrimenti alla natura subentra una smorfia palesemente vuota. »

Sono d'accordissimo con kurtz: il "dato tangibile" non è nelle cose, e il dato fenomenico che si tratti del nostro vecchio buon mondo a base carbonio o quello digitale a base silicio, rimane ai nostri occhi un mistero.

La realtà aumentata, la tassonomia sociale di Face Book, la pervasività di Google non danno assolutamente maggiore chiarezza al mondo.
Non potranno mai coglierne il senso. Possono spiegarlo, ma niente di più.

Nel tentativo di spiegare e di normalizzare c'è un baco - e meno male - che ci permetterà di continuare a essere liberi, e di sfuggire al controllo, che da sempre qualunque potere cerca di agire sulle persone: controllo del corpo, controllo della mente e ora, controllo della rete.
questo bug è il buio, l'oblio, la impossibilità della esperienza a essere ridotta a informazione.

lunedì 24 maggio 2010

Un'altra chiacchera sul processo empatico computer-mediated



Riporto qui una chiacchera in wave che rimane nel solco degli ultimi (rari) post che ho scritto. Spero possa interessare.

c'è in ogni atto della realtà fisica un costo. Un costo energetico ad esempio.

In questa forma di moderna alchimia ( uso la parola non a caso essendo una forma di mutazione) che è la performance immersiva, vedo lo stesso processo di scambio che è alla base di ogni costo. ma anche di ogni vantaggio.

E' uno scambio che avviene a livello fisico, a livello cognitivo e a livello sensoriale. Qui vogliamo spiegare come questa azione, che non a caso definiamo performativa, modifichi nel bene e nel male culturalmente, direi antropologicamente le persone che la vivono. La società "aumentata" o "immersiva" in empatia con le macchine per i più evoca immagini di puro orrore, come se ci fosse in questo una perdità di umanità. Altri, all'opposto, vedono un superamento delle miserie umane ( e qui abbiamo i singolaristi) Noi crediamo che tra lo scenario infernale e quello paradisiaco vi sia una via evolutiva più frastagliata, più "sfumata".

Vorrei poi ricordare che l'immersione immaginifica, la proiezione nell'altro da sè ( in questo caso la macchina) è vista come una offesa al corpo, il tempio di Dio. Solo ai pazzi e ai santi era concesso di esserlo e di esserlo integrati nella società.

Eppure è dai tempi dei misteri eleusini, è dal tempo dell'antichità classica e poi attraverso la scolastica, e i neoplatonici rinascimentali che esiste un'arte ( e qui ritorna la performance) chiamata Arte di Memoria che spiega quanto oggi, in una forma che definisco "pop", sia attuale e al contempo antica la necessità di una "fusione" tra l'umanità e i suoi costrutti, i suoi sogni. costi quel che costi.

L'idea finale comunque è poi che in questo percorso iniziatico, in questa evoluzione, in questa alchimia poi si torna al punto di partenza. Si è umani, si va nell'ultraumano e si torna cambiati, almeno un po. C'è chi sostiene che ci si risvegli come dopo una sbronza, ubriachi e dissociati, cìè chi sostiene di essere stato illuminato e di essere diverso. Altri invece, ed io mi metto fra quelli, che torna con una sensibilità "diversamente" sviluppata.

Il costo di una sensibilità diversamente sviluppata l'ho pagato deprivandomi di qualcosa, oppure lasciando qualcosa in cambio d'altro. fosse anche che parto con una idea e ne torno con un'altra.

nell'immersione devo imparare ad agire in uno spazio e in un tempo nuovo

devo imparare a comunicare socialmente, a comportarmi diversamente

posso fare cosa sovraumane e al contempo sono intollerabilmente handicappato

ecco questo credo sia un po' lo stato di tutti i demiurghi: onnipotenti e al contempo infantili.

percettivamente il mondo è opaco, dicevamo. non racconta la sua storia

il demiurgo, come l'angelo, legge dentro le teste, vede l'aura, e guarda chiaramente nel mondo metafisico ( i metadati) come noi vediamo in quello fisico.

Ma a noi e dato?

In un film si racconta di questo, ma il passaggio che si fa è al contrario. E' gabriel che si fa uomo ( bruno ganz nel cielo sopra berlino)

Tutta questa trasparenza ci spaventa, credo

Poi si tratta di capire come si leggono i metadati. la realtà aumentata li rappresenta come "fumetti" sovrapposti al reale ( mi rocordano molto le mitiche interfacce di ghost in the shell

la realtà mixata prevede la sovrapposizione di costrutti digitali e reali.

la realtà puo essere aumentata, mixata, virtualizzata con una progressione di astrazione sempre più alta. forse si dovrebbe dire di "complessificazione".

è lo stesso salto nel buio da un punto di vista cognitivo che vede il passaggio dalla comunicazione verbale a quella telepatica.

venerdì 5 marzo 2010

Il risultato di una deprivazione non è sempre negativo.


l'immersività costa fatica, dicevamo.
Ma questo non è l'unico costo, al quale rispondiamo per i più malevoli, che c'è un grande beneficio.
La fatica di cui parlavo nel post precedente, riguarda lo sforzo di conoscere, apprendere e misurarsi con gli altri attraverso le tecnologie. Insomma non soltanto bisogna imparare a comportarsi, ma anche a usare uno strumento tanto più complesso quanto predisposto ad alti livelli di interazione.
Più è alta l'interazione, più è ripida la curva di apprendimento, più è faticosa.
Una volta però acquisiti e affinati i linguaggi e le regole del gioco la gratificazione con cui noi interagiamo con questi mezzi crescerà esponenzialmente.
E' più del padroneggiare una tecnica, è l'affinamento di una disciplina.
Ha ragione Gentry Underwood, che si occupa di media sociali ed il software collaborativo presso IDEO, in un articolo ospite per Core77 nel dire che “Mano a mano che i prodotti diventano più interattivi, il focus si sposta verso la psicologia".
E questo è tanto più vero quando si parla di ambienti sociali e immersivi, dove l'esperienza vissuta è intensamente interattiva, anche se priva di una parte importantissima del nostro vivere, ovvero l'aspetto fisico, sensoriale.

Se il nostro Io può rimanere soddisfatto nell'esperienza della immersività dei mondi sintetici, rimane aperta un'altra questione: possono esserlo anche i nostri sensi?
Oppure, possiamo farne a meno ed esserlo egualmente?

E' evidente come vi sia una deprivazione sensoriale nell'immersività ( imperfetta). Il nostro copro non riceve nessuna sollecitazione quando corriamo o voliamo ne alterazione quando siamo rappresentati in forme non umane. Nessuna propriocezione ci spinge a mantenerci in equilibrio, o a cadere nella vertigine di un volo. Nessun profumo ci evocherà un ricordo, ne potremo provare un brivido per il contatto di una superfice ghiacciata, nè per una carezza.
Siamo avatar miserrimi se paragonati agli slanciati e nobili cloni dei 'Nuvi proposti da Cameron nel suo film, e sideralmente lontane le nostre esperienze dall' enciclopedia sensoriale che poteva provare Diego col suo data-suite nel racconto di Oscar Marchisio la Camera Mnemonica, ora ripubblicato con il titolo di Meta Stanza ( magari ne potessimo emulare le sensazioni!)

Questa deprivazione evidente è al contempo anche un valore, la condizione determinante dell'insorgere di una alternativa: l'empatia.
Prossima più al sensibile che al'ideale, l'empatia viene definita come "La capacità di comprendere cosa un'altra persona sta provando", piuttosto che "fenomeno per cui si crea con un altro individuo una sorta di comunione affettiva in seguito a un processo di identificazione."
Entrambi raccontano di un processo che ci vede affinare un senso sia di partecipazione che di comprensione. Questo avviene dapprima verso il nostro steso avatar, e successivamente verso gli altri, e lo dico in quanto per primo ho avuto modo di provarlo.
Ora questo non garantisce nulla e le delusioni e gli inganni dell'empatia sono altrettanto numerosi di quelli dei sensi, ma non vi è dubbio che l'empatia possa essere sviluppata in mancanza di altri stimoli e che questo avvenga specificatamente in un mondo immersivo.

Ogni simulazione ha origine da un'esperienza la cui matrice sta nel reale a cui fa riferimento e con la quale si confronta. Io vedo in questo il vettore principale dell'esperienza vissuta da una persona in Second Life o in altri mondi immersivi: parte dal reale e al reale ritorna, in forma ciclica perchè è nell'incontro fisico, nel ritrovarsi in questo spazio e in questo tempo, la conclusione dell'esperienza immersiva.

Ora credo che l'empatia sviluppata nell'esperienza immersiva sia riportata nel reale, e che questa sia in qualche modo il compenso al costo della deprivazione. Più in generale, credo che questa ciclicità sia condivisa anche da tutte le forme dell'esperienza della simulazione, e che tutte vivano questo scambio di compensazione fra l'agire nel mondo sintetico con un qualche grado di limitazione e nella acquisizione di un sapere che è poi spendibile altrimenti nel mondi reale.

Magari si è partiti giocando una fantasia e ci si ritrova con un'arte, magari si è sperimentata una dote e ci si è trovata una professione, magari si cercava una diversa idea di sè e ci si trova con un diverso grado di coscienza. chissà.

Per queste considerazioni devo ringraziare Samaya Silberman che mi ha riportato l'intuizione della compensazione fra deprivazione e empatia di Ramon123 Babenco, a cui va il mio ringraziamento e con cui condivido pienamente l'idea.

photo: Original image: 'Attention Inspectors'
http://www.flickr.com/photos/43426549@N00/222540902
by: Martin Kingsley

martedì 9 febbraio 2010

l'immersione costa fatica




quant'è ripida la curva di apprendimento in una esperienza immersiva ? Quanto tempo passa tra la prima immersione e la prima esperienza soddisfacente?
Diciamo che l'esperienza non è immediata. Diciamo che spesso si confondono le necessità dell'usability con quello che qui chiamo esperienza soddisfacente: una piena sicurezza nel movimento e nella compresione di quanto accade nell'interazione con il software e con le altre persone nella condivisione sia di contenuti sia della esperienza stessa, trattandosi di software sociale.

Tanto più è coinvolgente l'interazione e la condivisione, tanto più coinvolge noi, i nostri sensi, l'idea che abbiamo di noi nello spazio, tanto più questo ha bisogno di un certo tempo per maturare l'esperienza e acuire la nuova sensibilità.
Essere avatar non è semplice, nè muoversi in senso aptico, in uno spazio virtuale dove l'interazione gesto-azione ( clic sul tasto freccia e "noi"che ci muoviamo) non è immediata.

Un esempio banalissimo e quasi del tutto inconsapevole l'ho vissuto andando a vedere un film tridimensionale: per poter vedere l'effetto tridimensionale non è sufficiente mettersi gli occhiali: è necessario allenare gli occhi a fissarsi su una diversa focale e questo avviene in un certo tempo. Ecco perchè il film vero e proprio è preceduto da un breve filmato di training.

L'immersività per quanto acora assolutamente parziale di un mondo virtuale comporta dal puto di vista della curva di apprendimento unn notevole periodo di addestramento. Se facciamo un paragone con altri software sociali vediamo che tanto più l'interazione è debole, tanto più la curva sarà facile. Twitter è elementare.
Facebook è molto molto più complesso, pur rimanendo all'interno della metafora della "pagina" del web.
E questo non solo per le opzioni e le features, ma proprio perchè si rende più intensa la percezione di condividere un'esperienza.

Con Google wave la percezione è ancora più intensa: veramente li si percepiscei il pensiero che corre nella rete, anzi, che esista soltano se è nella rete. Al di fuori , si perde nel tempo.
Wave è ancora immaturo, evidente, come è immaturo il nostro modo di usarlo.
Un'amica mi ha ad esempio riferito come il fatto di avere una scrittura condivisa in tempo reale porta ad avere una conversazione fatta di frasi troncate, in un continuo anticipare e concludere il pensiero dell'altro. Evidente che ancora non abbiamo messo a fuoco come usarlo.

In un ambiente immersivo dove l'azione è mediata dall'avatar che si pone come estensione fisica e come rappresentante dell'agente, beh la cosa diventa molto molto più intensa. L'intensità dell'esperienza è tanto più soddisfacente quanto è profonda l'interazione.
Tanto più noi riusciamo attraverso il nostro rappresentante nel mondo virtuale a condividere azioni ed emozioni, tanto più la percepiamo come tangibile, forte, in una concreta relazione di causa ed effetto.

Forse è per questo che una immmersivtà imperfetta come quella che viviamo attualmente ancora al di qua dello specchio è comunque percepita come soddisfacente. C'è qualcosa di altamente empatico nella interazione fra uomo e computer,che diventa ancora più forte quando al di la dello schermo nella rete, c'è un'altra persona che è li con te.

Chiudo citando un libricino cult, il mitico La Stanza Mnemonica. scritto da Oscar Marchisio, introvabile nella sua edizione originale ( che ho, ovviamente ;-) e oggi riproposto dopo quindici anni con il titolo Meta-Stanza. La memoria del futuro.

In questo libro stra-or-di-na-rio che spiega tantissimo di quello che oggi viviamo con i nostri avatar, si dice:

"ti cercavo" continuò tranquillamente Diego
"mentalmente" replicò Talzolari
"naturalmente" quasi sillabando Diego
"infatti non ho nessun messaggio sul personal communicator"

Nella nostra era il pensiero non esiste se non è nella rete...

Bene, se mi avete letto sino a qui, vi prego di scegliere come feed di sottoscrizione quello di feedburn, linkato in alto a destra "subscribe now" Grazie!

La foto è stata scattata alla mostra "Menti assenti", al museo della fotografia di Cinisello, il 5 maggio 2007, dove sono ritratte persone "immerse" davanti ad un computer.