martedì 9 febbraio 2010

l'immersione costa fatica




quant'è ripida la curva di apprendimento in una esperienza immersiva ? Quanto tempo passa tra la prima immersione e la prima esperienza soddisfacente?
Diciamo che l'esperienza non è immediata. Diciamo che spesso si confondono le necessità dell'usability con quello che qui chiamo esperienza soddisfacente: una piena sicurezza nel movimento e nella compresione di quanto accade nell'interazione con il software e con le altre persone nella condivisione sia di contenuti sia della esperienza stessa, trattandosi di software sociale.

Tanto più è coinvolgente l'interazione e la condivisione, tanto più coinvolge noi, i nostri sensi, l'idea che abbiamo di noi nello spazio, tanto più questo ha bisogno di un certo tempo per maturare l'esperienza e acuire la nuova sensibilità.
Essere avatar non è semplice, nè muoversi in senso aptico, in uno spazio virtuale dove l'interazione gesto-azione ( clic sul tasto freccia e "noi"che ci muoviamo) non è immediata.

Un esempio banalissimo e quasi del tutto inconsapevole l'ho vissuto andando a vedere un film tridimensionale: per poter vedere l'effetto tridimensionale non è sufficiente mettersi gli occhiali: è necessario allenare gli occhi a fissarsi su una diversa focale e questo avviene in un certo tempo. Ecco perchè il film vero e proprio è preceduto da un breve filmato di training.

L'immersività per quanto acora assolutamente parziale di un mondo virtuale comporta dal puto di vista della curva di apprendimento unn notevole periodo di addestramento. Se facciamo un paragone con altri software sociali vediamo che tanto più l'interazione è debole, tanto più la curva sarà facile. Twitter è elementare.
Facebook è molto molto più complesso, pur rimanendo all'interno della metafora della "pagina" del web.
E questo non solo per le opzioni e le features, ma proprio perchè si rende più intensa la percezione di condividere un'esperienza.

Con Google wave la percezione è ancora più intensa: veramente li si percepiscei il pensiero che corre nella rete, anzi, che esista soltano se è nella rete. Al di fuori , si perde nel tempo.
Wave è ancora immaturo, evidente, come è immaturo il nostro modo di usarlo.
Un'amica mi ha ad esempio riferito come il fatto di avere una scrittura condivisa in tempo reale porta ad avere una conversazione fatta di frasi troncate, in un continuo anticipare e concludere il pensiero dell'altro. Evidente che ancora non abbiamo messo a fuoco come usarlo.

In un ambiente immersivo dove l'azione è mediata dall'avatar che si pone come estensione fisica e come rappresentante dell'agente, beh la cosa diventa molto molto più intensa. L'intensità dell'esperienza è tanto più soddisfacente quanto è profonda l'interazione.
Tanto più noi riusciamo attraverso il nostro rappresentante nel mondo virtuale a condividere azioni ed emozioni, tanto più la percepiamo come tangibile, forte, in una concreta relazione di causa ed effetto.

Forse è per questo che una immmersivtà imperfetta come quella che viviamo attualmente ancora al di qua dello specchio è comunque percepita come soddisfacente. C'è qualcosa di altamente empatico nella interazione fra uomo e computer,che diventa ancora più forte quando al di la dello schermo nella rete, c'è un'altra persona che è li con te.

Chiudo citando un libricino cult, il mitico La Stanza Mnemonica. scritto da Oscar Marchisio, introvabile nella sua edizione originale ( che ho, ovviamente ;-) e oggi riproposto dopo quindici anni con il titolo Meta-Stanza. La memoria del futuro.

In questo libro stra-or-di-na-rio che spiega tantissimo di quello che oggi viviamo con i nostri avatar, si dice:

"ti cercavo" continuò tranquillamente Diego
"mentalmente" replicò Talzolari
"naturalmente" quasi sillabando Diego
"infatti non ho nessun messaggio sul personal communicator"

Nella nostra era il pensiero non esiste se non è nella rete...

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La foto è stata scattata alla mostra "Menti assenti", al museo della fotografia di Cinisello, il 5 maggio 2007, dove sono ritratte persone "immerse" davanti ad un computer.