l'immersività costa fatica, dicevamo.
Ma questo non è l'unico costo, al quale rispondiamo per i più malevoli, che c'è un grande beneficio.
La fatica di cui parlavo nel post precedente, riguarda lo sforzo di conoscere, apprendere e misurarsi con gli altri attraverso le tecnologie. Insomma non soltanto bisogna imparare a comportarsi, ma anche a usare uno strumento tanto più complesso quanto predisposto ad alti livelli di interazione.
Più è alta l'interazione, più è ripida la curva di apprendimento, più è faticosa.
Una volta però acquisiti e affinati i linguaggi e le regole del gioco la gratificazione con cui noi interagiamo con questi mezzi crescerà esponenzialmente.
E' più del padroneggiare una tecnica, è l'affinamento di una disciplina.
Ha ragione Gentry Underwood, che si occupa di media sociali ed il software collaborativo presso IDEO, in un articolo ospite per Core77 nel dire che “Mano a mano che i prodotti diventano più interattivi, il focus si sposta verso la psicologia".
E questo è tanto più vero quando si parla di ambienti sociali e immersivi, dove l'esperienza vissuta è intensamente interattiva, anche se priva di una parte importantissima del nostro vivere, ovvero l'aspetto fisico, sensoriale.
Se il nostro Io può rimanere soddisfatto nell'esperienza della immersività dei mondi sintetici, rimane aperta un'altra questione: possono esserlo anche i nostri sensi?
Oppure, possiamo farne a meno ed esserlo egualmente?
E' evidente come vi sia una deprivazione sensoriale nell'immersività ( imperfetta). Il nostro copro non riceve nessuna sollecitazione quando corriamo o voliamo ne alterazione quando siamo rappresentati in forme non umane. Nessuna propriocezione ci spinge a mantenerci in equilibrio, o a cadere nella vertigine di un volo. Nessun profumo ci evocherà un ricordo, ne potremo provare un brivido per il contatto di una superfice ghiacciata, nè per una carezza.
Siamo avatar miserrimi se paragonati agli slanciati e nobili cloni dei 'Nuvi proposti da Cameron nel suo film, e sideralmente lontane le nostre esperienze dall' enciclopedia sensoriale che poteva provare Diego col suo data-suite nel racconto di Oscar Marchisio la Camera Mnemonica, ora ripubblicato con il titolo di Meta Stanza ( magari ne potessimo emulare le sensazioni!)
Questa deprivazione evidente è al contempo anche un valore, la condizione determinante dell'insorgere di una alternativa: l'empatia.
Prossima più al sensibile che al'ideale, l'empatia viene definita come "La capacità di comprendere cosa un'altra persona sta provando", piuttosto che "fenomeno per cui si crea con un altro individuo una sorta di comunione affettiva in seguito a un processo di identificazione."
Entrambi raccontano di un processo che ci vede affinare un senso sia di partecipazione che di comprensione. Questo avviene dapprima verso il nostro steso avatar, e successivamente verso gli altri, e lo dico in quanto per primo ho avuto modo di provarlo.
Ora questo non garantisce nulla e le delusioni e gli inganni dell'empatia sono altrettanto numerosi di quelli dei sensi, ma non vi è dubbio che l'empatia possa essere sviluppata in mancanza di altri stimoli e che questo avvenga specificatamente in un mondo immersivo.
Ogni simulazione ha origine da un'esperienza la cui matrice sta nel reale a cui fa riferimento e con la quale si confronta. Io vedo in questo il vettore principale dell'esperienza vissuta da una persona in Second Life o in altri mondi immersivi: parte dal reale e al reale ritorna, in forma ciclica perchè è nell'incontro fisico, nel ritrovarsi in questo spazio e in questo tempo, la conclusione dell'esperienza immersiva.
Ora credo che l'empatia sviluppata nell'esperienza immersiva sia riportata nel reale, e che questa sia in qualche modo il compenso al costo della deprivazione. Più in generale, credo che questa ciclicità sia condivisa anche da tutte le forme dell'esperienza della simulazione, e che tutte vivano questo scambio di compensazione fra l'agire nel mondo sintetico con un qualche grado di limitazione e nella acquisizione di un sapere che è poi spendibile altrimenti nel mondi reale.
Magari si è partiti giocando una fantasia e ci si ritrova con un'arte, magari si è sperimentata una dote e ci si è trovata una professione, magari si cercava una diversa idea di sè e ci si trova con un diverso grado di coscienza. chissà.
Per queste considerazioni devo ringraziare Samaya Silberman che mi ha riportato l'intuizione della compensazione fra deprivazione e empatia di Ramon123 Babenco, a cui va il mio ringraziamento e con cui condivido pienamente l'idea.
photo: Original image: 'Attention Inspectors'
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by: Martin Kingsley