domenica 5 giugno 2011

Che valore diamo a questa esperienza?

Continuiamo a chiederci , ed è una specie tormentone che ci accompagna da quando conosciamo i mondi virtuali, quale che siano, che valore ha questa esperienza.
Ha un valore in se, è sufficiente e può considerarsi a tutti gli effetti paragonabile ad una esperienza  del reale?
E' solo una parvenza, mediocre e succedanea, relegata solo all'ambito dell'individuo (o del gruppo) che la vive come una allucinazione condivisa*?
Io sono fermamamente convinto che ad una delle più forti istanze della complessità, la virtualità, non è possibile dare altra risposta che non sia ambigua, quantica, indeterminata.

Facciamo un esempio partendo dalla cronaca.
Ultimamente e con una ciclicità propria dei percorsi più euclidei possibili, i media mainstream si interessano ai mondi virtuali per determinarne lo scarso stato di salute se non la morte clinica.
Dall'altro lato, le comunità che vivono intensamente la loro identità in questi mondi, insorgono, vedendosi negata la loro esperienza e rispondono con  indignazione.

E' chiaro per me, che ho già vissuto  questa contraddizione e che ho una discreta memoria storica dei fatti, che questa è irrisolvibile  senza prendere in considerazione la percezione del valore dell'esperienza, che per i primi è evidentemente insufficiente e ininfluente (falsa) e per i secondi significativa (vera) oltre ogni critica.

Vediamo di sciogliere la contraddizione e prendiamola con l'opportuna ambiguità.

L'esperienza virtuale non è necessariamente reale.
Chi la vive come necessità, e dunque non riconosce il valore fondamentale della virtualità, ovvero il fatto di essere  una potenzialità della realtà, rimane all'interno della sua stessa percezione, non ne sviluppa la sua dinamica e si autoconvince  del suo valore, arbitrariamente.

L'esperienza virtuale non è necessariamente un simulacro della realtà.
La vitalità staminale, creativa del virtuale è una forza dirompente. Parte indifferenziata e si specializza sulle attitudini, le espressioni creative - e anche distruttive - i talenti, con una rapidità impensabile, con un metabolismo che il reale non può permettersi. L'esperienza virtuale è un credito da spendere nel reale, è un reattore potente per intervenire nel mondo (dell'individuo e delle genti)  e trasformarlo.

Ora, per completare questa note, vedo di dare una definizione di valore.
Il valore di un'esperienza è nella sua capacità di essere trasmessa. Personalmente credo che l'intelligenza stessa ( se mai si riuscisse a concepirla come un qualcosa di fuori dall'umano) è la quantità di informazione che si riesce ad elaborare e a trasmettere.
Questa quantità chiamiamola contenuto.
Ora, in noi, esserei autopoietici e razionali è del tutto indifferente se la sua origine è nel mondo o nelle idee. E' importante invece che il contenuto possa essere trasmesso, pacchettizzato come mRNA messaggero, per comporre sempre e nuove eliche di DNA culturale.

A questo punto andiamo a concludere.
La contemporaneità complessa ci invita a prendere atto che nel playground (e uso questo termine non a caso, ma per indicare volutamente un terreno di gioco ) culturale e tecnologico in cui viviamo,il valore di una contenuto non è più necessariamente riducibile a una contraddizione fra reale e virtuale, vero o falso, ma nella sua capacità di agire e di comunicare nell'insieme del playground.**

Alcuni riferimenti
*A definirla allucinazione il padre del concetto di Cyberspazio William Gibson, in Neuromancer:
« Cyberspazio: un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici... Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano [...]. »


** Suggestioni/suggerimenti  sul tema del playground
prima tra i primi, Brenda Laurel concepì il nuovo media come la forma più sofisticata e complessa di teatro (playground, dico io).
Nella prefazione del suo libro fondamentale Computers as Theatre:
« When Brenda Laurel first wrote this book in the early '80s, it may have seemed a bit far-fetched to most computer users: "What? How can my interaction with a computer have anything to do with theatre? I'm typing!" But with the emergence of WebTV, VRML, and the dawning of real online interactivity where our interface with the computer and others is not the keyboard, but instead our imagination and the suspension of disbelief it requires, Laurel's ideas are finally coming of age. Snotty digerati might sniff that this is an old book, but I would argue that it is a book that has finally come of age.»


Un saggio di grande valore quello di Agata Meneghelli, Dentro lo schermo. Immersione e interattività nei god games dove viene aperta e contestualizzata la realzione autore-lettore attraverso l'interfaccia (playground, dico io)
Nella prefazione del suo libro:
« Al centro di questa innovativa ricerca è l'analisi delle interfacce di gioco di un corpus di god games, tra cui Simcity, The Sims, Civilization, Age of Empires. Applicando i concetti e i metodi di analisi della Semiotica del testo, e riaggiustandoli quando necessario, l'indagine cerca di comprendere come vengano creati gli effetti di interattività e di immersione in questo particolare genere videoludico. Se è possibile individuare l'interattività e l'immersività come proprietà fondamentali per decretare il successo di un videogioco, un approccio semiotico ci invita a considerarli non come dati di fatto ma come effetti di senso, creati attraverso un complesso di strategie di enunciazione ricostruibili in sede d'analisi.
L'analisi si concentra appunto sugli spazi, i tempi e i soggetti dell'enunciazione videoludica, giungendo a individuare le modalità con cui il videogioco crea una sovrapposizione tra il qui del giocatore e l'altrove del mondo del gioco, tra l'ora del giocatore e l'allora del mondo del gioco, tra l'io del giocatore e il suo alter ego digitale.»

( dovrei mettere il nome di altre due... no tre donne in questa lista di bibliografie fondamentali: Graziella Tonfoni, Docente di Linguistica Computazionale all'Università di Bologna  a cui ho dedicato un post e che mi diede un insperato aiuto a capire l'innovazione digitale tramite un suo saggio, Giuliana Bruno "Professor of Visual and Environmental Studies" a Harward di cui stracito il bellissimo Atlante delle emozioni in tante cose scritte e  dette e per ultimo la grandissima Frances Yates, il cui saggio l'Arte della Memoria è al centro di tutto il mio pensiero sulle tecnologie digitali. E di loro e dei loro saggi ci sarà modo di parlarne.)

Per finire, un augurio a Tribù Italia, e alla loro iniziativa.

Image attribution: 'Miracle Equipment Company ad, Parks and Recreation,+Aug+1974+(inside+cover)'
http://www.flickr.com/photos/7776581@N04/4298082203

1 commento:

Rick ha detto...

Notevole la profondità della riflessione, e credo di poter affermare senza timore di smentita che una forma molto antica di realtà virtuale si possa individuare nell'attività onirica. Tanto antica e consivisa con totalità degli animali dotati di sistema limbico, essa è parte integrante della nostra vita. Nessuno oggi, all'interno delle neuroscienze, negherebbe l'importanza ti questo fondamentale fenomeno. Di conseguenza, la mia opinione è che l'uomo quasi sempre tenta di copiare, mendiante l'uso della tecnologia - ovvero di dare voce alle sue fantasie più o meno inconscie - dei processi che sono già esistenti in natura. La realtà virtuale quindi, nella sua accezione più ristretta, è già parte della natura umana.