domenica 4 novembre 2007

do you remember Brenda Laurel?



E' dall'incontro del SL Barcamp che sto meditando sull'importanza della dimensione drammaturgica inSecond Life. Durante l'incontro numerose sono state le testimonianze degli architetti, che hanno sollevato alcune sostanziali questioni sull'ambiente e l'interazione: Da una parte la necessità di sollevare al massimo la soglia delle potenzialità specifiche della modellazione degli spazi, spesso sin troppo banalizzati e schiacciati su un aspetto mimetico del mondo reale ( casette brianzole, uffici con tende e tappeti, scale e controsoffitti) cercando strade nuove e originali, dall'altra la necessità di ampliare le esperienze sensoriali, semplicemente ad esempio adottando una maggiore attenzione alle luci, e che la qualità non deriva nè dal fotorealismo, nè forzatamente nella creazione di architetture non convenzionali.

Mi sono venute in mete allora le parole di Brenda Laurel che in anni non sospetti, (siamo nel 1991) scriveva Computer as Theatre dove allora ipotizzava la necessità di una gestione narrativa del rapporto di azione e reazione fra utente e sistema.
Da qesto spunto Massimo Botta nel suo saggio Design dell'Informazione, sottolinea che " la progettazione dei sistemi comunicativi informatizzati... è nella sostanza un progetto registico dell'informazione".

Credo che l'arte della regia possa portare benefici in Second Life, se a fianco di architetti e modellatori si affiancasse la loro voce, cosa che mi sembra almeno per ora avvenire.

E trovo al meno due campi interessanti:
uno è la direzione dell'attore ( se volete chiamarlo Avatar...) che aiuterebbe lo sviluppo di tutta una serie di linguaggi non verbali che i nostri legnosi rappresentanti digitali non possiedono, l'altro è la creazione di azioni in grado di riempire di senso lo spazio spesso inespressivo di molte land che sembrano scenari di cartapesta. Virtuale. Il che, è il massimo del minimo...

Date un'occhiata al Placeholder Virtual Reality Project e ditemi se di Brenda non c'è bisogno...

1 commento:

tomcorsan ha detto...

C'è un gruppo teatrale (Zero Teatro, e il nome non è solo un gioco di parole) che "mette in scena" un progetto chiamato Avatar: detta molto in breve si tratta di un evento partecipatorio in cui ci si presenta come propri avatar. La domanda che porrei al regista del gruppo (Giorgio Degasperi) è se chi vi partecipa, secondo lui, recita un ruolo o "fa un altro se stesso". La si può porre a ogni coppia persona-avatar: "reciti o sei te stesso?". In realtà è una domanda ingannevole perché, tutto sommato, non centra il problema.
Un tempo dicevo: il campo del teatro è l'uomo, ora potrei dire: è l'identità. Cioè, è sempre l'uomo, ma più specificatamente è l'identità.
E allora la regia degli avatar dovrebbe essere la formazione di una coscienza identitaria che infine si esprime con una serie di forme e modalità di espressione: modo di muoversi, di emettere suoni, verbali e non verbali, di comporre azioni, partiture. Ma il tutto in un progetto più complesso, in cui l'essere avatar solidifica il proprio senso.
Bene, abbiamo SL, cosa ne facciamo? Bene, siamo in SL, cosa facciamo e come?

L'architettura è una espressione che dà forma al complesso sistema di rapporto tra essere e spazio. Bene i registi per Avatar e architetti in SL! Ma che non siano, ovviamente, registi "alla Ronconi" (dove il progetto ha bisogno per lo più di esecutori), ma registi che aiutino a modellare spazio, suono, movimento e individui sociali.