venerdì 7 ottobre 2011

Metriche calde e fredde: una soluzione per valutare il Return on Influence.

Misurare, misurare, misurare... Le necessità del marketing, il valore di un investimento da difendere e da implementare, la prova del nove del lavoro di professionisti che devono verificare e trasformare in percentuali reputazione, sentimenti, influenze... Si può fare, probabilmente, anzi sicuramente, ma non è facilmente misurabile.
Return on Influence, the New ROI di Amy Jo Martin della Harvard Business Review è un interessante articolo dove viene tratteggiata la complessità del problema principale, ovvero la metrica, l'unità di misura con quale fare le valutazioni.
La martin dice:
Il dilemma, lo sapevo, era la metrica. Sapevo che ci si aspettava da me la difesa dei valori del mio cliente con lo standard delle "metriche fredde"- portata, frequenza, pagine viste, impressioni, bulbi oculari catturati. I loro  dirigenti stanno per spendere un sacco di soldi come i numeri, anche quando sanno che sono difettosi. I numeri aiutano giustificare decisioni, rimuovere qualche rischio, e limitare la responsabilità. 
Ma le metriche fredde da sole non funzionano. possono essere utili ai dirigenti, ma lo sappiamo, è per poco, e lo sanno.
Amy Jo Martin prosegue proponendo un affiancamento di metriche calde, relazionali, dialoganti, a quelle fredde, e così facendo intravede la possibilità di rilevare - e misurare - il processo di propagazione che porta un messaggio a concludersi  con un acquisto.
Una volta riconosciuto che ogni voce nella conversazione sociale è la creazione di una influenza, è necessario seguirle. Un tweet è una transazione. Così un retweet.. A differenza delle affissioni e della pubblicità TV, ad esempio, i marketers possono tenere traccia del comportamento online all'inteerno di un canale sociale dal messaggio di marketing iniziale fino in fondo per l'acquisto. 
Amy Jo Martin si avvicina al nocciolo duro della questione della misurabilità della reputazione, dapprima mettendo in relazione gli investimenti con il costo contatto di  fan e follower. Ma non basta: è necessario aggiungere il tempo, ovvero quanto  tempo è necessario perchè in un rapporto di influenza l'idea giunga all'atto di acquisto. Così dice Amy
Quando capiremo come controllare la quantità di tempo trascorso tra la causa ed effetto, l'arte dei mezzi di comunicazione sociale diventerà scientifica, e le metriche calde saranno accettate come quelle fredde.
Sorgente: Return on Influence, the New ROI - Amy Jo Martin - Harvard Business Review http://j.mp/or0cUI (via Instapaper)


stexauer's posterous

sabato 24 settembre 2011

Che fanno gli abitanti dei mondi virtuali?

Uno studio e un questionario, 250 persone contattate anonimamente attraverso diversi social media.
Chi sono e cosa praticano  gli utenti  dei mondi  virtuali?
Questo lavoro è riassunto in un grafico che ne illustra le diverse caratteristiche: età, nazionalità, interessi, ecc dei partecipanti i MUVE, Second Life in prima battuta ma anche in altri  mondi immersivi.
Personalmente i dati emersi non mi  colpiscono pià ditanto, anzi  confermano non solo l'esperienza personale passata, ma anche i dati  già proposti in altre ricerche.
Gli unici dati che considero interessanti sono quelli dell'età, dove si vede come l'utente mediamente ha una età superiore ai 35-40 anni. (diciamolo: è una encleve di babyboomers)  e di come gli utenti siano in netto calo.
Evidentemente la loyalty è molto alta, ma il ricambio è lento  e  che sopratutto  si stia restringendo (forse giustamente) alla nicchia dei creativi e delle università.
Nulla di nuovo,mi  sembra.
Scientific investigation in Second Life and Open Sim: Results of the questionnaire about practices of avatars in virtuals worlds - 22-09-2011
Una descrizione sul metodo e sulle caratteristiche dello studio  lo si trova sul sito promotore http://research-sl.blogspot.com/ .
source: Logicamp's Blog http://j.mp/rdGz9I (via Instapaper)
stexauer's posterous

domenica 4 settembre 2011

ArchVirtual rinnova il suo sito

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Per chi ha seguito sin dal suo esordio Second Life, il nome di Jon Brouchoud non puà essere sconosciuto. Architetto e sperimentatore, fra i primi che ha compreso le potenzialità della simulazione nei mondi virtuali progettando e costruendo solidissime realtà progettuali e operative.

Ha anche aperto la strada alla sperimentazione, ricordo con emozione - per averli  visitati -  i primi esperimenti di architettura riflettiva ( reflexive architecture ) dove pareti, pannelli e ambienti sensibili alla presenza di un avatar mutavano  volume e forma per creare spazi adattabili al movimento.

Sempre sperimentando Jon è fra i firmatari e sviluppatori dell'architettura collaborativa che si è sviluppata attorno a Studio Wikitecture, un laboratiorio di Opening architecture che svolge un ruolo fondamentale nell'esplorare le possibilità di condivisione laboratoriale e progettule in seno alla cultura wiki. 

Da anni è presente anche sul web, con un bel blog che da poco ha rinnovato la sua veste, molto professionle. E' un piacere visitarlo, stracolmo di informazioni e di spunti. 

ARCH Virtual - architecture and design in virtual worlds http://j.mp/q5hyZW (via Instapaper)

stexauer's posterous

lunedì 25 luglio 2011

Lampi d'estate

Abbiamo un luglio instabile meteorologicamente parlando. Un motivo in più per una lettura. Vi propongo Lampi, di Albert Laszlo Barabasi che segue Link un imprendibile saggio sulla teoria delle reti.
In Lampi Barabasi dice:
Oggi siamo ossessionati da Facebook, da MySpace, da Twitter e trascorriamo il tempo a divorare voracemente i pensieri, i commenti e le immagini dei nostri amici. Provate a immaginare una nuova generazione di social network che non gioca con il passato, ma ti permette di sbirciare nel nostro futuro. Dimenticate il concetto di «a cosa stai pensando?» e concentratevi sugli eventi che devono ancora accadere. Se credete che Twitter e Facebook creino dipendenza, pensate a cosa potrebbe portare la possibilità di prevedere il futuro.stexauer's posterous

domenica 5 giugno 2011

Che valore diamo a questa esperienza?

Continuiamo a chiederci , ed è una specie tormentone che ci accompagna da quando conosciamo i mondi virtuali, quale che siano, che valore ha questa esperienza.
Ha un valore in se, è sufficiente e può considerarsi a tutti gli effetti paragonabile ad una esperienza  del reale?
E' solo una parvenza, mediocre e succedanea, relegata solo all'ambito dell'individuo (o del gruppo) che la vive come una allucinazione condivisa*?
Io sono fermamamente convinto che ad una delle più forti istanze della complessità, la virtualità, non è possibile dare altra risposta che non sia ambigua, quantica, indeterminata.

Facciamo un esempio partendo dalla cronaca.
Ultimamente e con una ciclicità propria dei percorsi più euclidei possibili, i media mainstream si interessano ai mondi virtuali per determinarne lo scarso stato di salute se non la morte clinica.
Dall'altro lato, le comunità che vivono intensamente la loro identità in questi mondi, insorgono, vedendosi negata la loro esperienza e rispondono con  indignazione.

E' chiaro per me, che ho già vissuto  questa contraddizione e che ho una discreta memoria storica dei fatti, che questa è irrisolvibile  senza prendere in considerazione la percezione del valore dell'esperienza, che per i primi è evidentemente insufficiente e ininfluente (falsa) e per i secondi significativa (vera) oltre ogni critica.

Vediamo di sciogliere la contraddizione e prendiamola con l'opportuna ambiguità.

L'esperienza virtuale non è necessariamente reale.
Chi la vive come necessità, e dunque non riconosce il valore fondamentale della virtualità, ovvero il fatto di essere  una potenzialità della realtà, rimane all'interno della sua stessa percezione, non ne sviluppa la sua dinamica e si autoconvince  del suo valore, arbitrariamente.

L'esperienza virtuale non è necessariamente un simulacro della realtà.
La vitalità staminale, creativa del virtuale è una forza dirompente. Parte indifferenziata e si specializza sulle attitudini, le espressioni creative - e anche distruttive - i talenti, con una rapidità impensabile, con un metabolismo che il reale non può permettersi. L'esperienza virtuale è un credito da spendere nel reale, è un reattore potente per intervenire nel mondo (dell'individuo e delle genti)  e trasformarlo.

Ora, per completare questa note, vedo di dare una definizione di valore.
Il valore di un'esperienza è nella sua capacità di essere trasmessa. Personalmente credo che l'intelligenza stessa ( se mai si riuscisse a concepirla come un qualcosa di fuori dall'umano) è la quantità di informazione che si riesce ad elaborare e a trasmettere.
Questa quantità chiamiamola contenuto.
Ora, in noi, esserei autopoietici e razionali è del tutto indifferente se la sua origine è nel mondo o nelle idee. E' importante invece che il contenuto possa essere trasmesso, pacchettizzato come mRNA messaggero, per comporre sempre e nuove eliche di DNA culturale.

A questo punto andiamo a concludere.
La contemporaneità complessa ci invita a prendere atto che nel playground (e uso questo termine non a caso, ma per indicare volutamente un terreno di gioco ) culturale e tecnologico in cui viviamo,il valore di una contenuto non è più necessariamente riducibile a una contraddizione fra reale e virtuale, vero o falso, ma nella sua capacità di agire e di comunicare nell'insieme del playground.**

Alcuni riferimenti
*A definirla allucinazione il padre del concetto di Cyberspazio William Gibson, in Neuromancer:
« Cyberspazio: un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici... Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano [...]. »


** Suggestioni/suggerimenti  sul tema del playground
prima tra i primi, Brenda Laurel concepì il nuovo media come la forma più sofisticata e complessa di teatro (playground, dico io).
Nella prefazione del suo libro fondamentale Computers as Theatre:
« When Brenda Laurel first wrote this book in the early '80s, it may have seemed a bit far-fetched to most computer users: "What? How can my interaction with a computer have anything to do with theatre? I'm typing!" But with the emergence of WebTV, VRML, and the dawning of real online interactivity where our interface with the computer and others is not the keyboard, but instead our imagination and the suspension of disbelief it requires, Laurel's ideas are finally coming of age. Snotty digerati might sniff that this is an old book, but I would argue that it is a book that has finally come of age.»


Un saggio di grande valore quello di Agata Meneghelli, Dentro lo schermo. Immersione e interattività nei god games dove viene aperta e contestualizzata la realzione autore-lettore attraverso l'interfaccia (playground, dico io)
Nella prefazione del suo libro:
« Al centro di questa innovativa ricerca è l'analisi delle interfacce di gioco di un corpus di god games, tra cui Simcity, The Sims, Civilization, Age of Empires. Applicando i concetti e i metodi di analisi della Semiotica del testo, e riaggiustandoli quando necessario, l'indagine cerca di comprendere come vengano creati gli effetti di interattività e di immersione in questo particolare genere videoludico. Se è possibile individuare l'interattività e l'immersività come proprietà fondamentali per decretare il successo di un videogioco, un approccio semiotico ci invita a considerarli non come dati di fatto ma come effetti di senso, creati attraverso un complesso di strategie di enunciazione ricostruibili in sede d'analisi.
L'analisi si concentra appunto sugli spazi, i tempi e i soggetti dell'enunciazione videoludica, giungendo a individuare le modalità con cui il videogioco crea una sovrapposizione tra il qui del giocatore e l'altrove del mondo del gioco, tra l'ora del giocatore e l'allora del mondo del gioco, tra l'io del giocatore e il suo alter ego digitale.»

( dovrei mettere il nome di altre due... no tre donne in questa lista di bibliografie fondamentali: Graziella Tonfoni, Docente di Linguistica Computazionale all'Università di Bologna  a cui ho dedicato un post e che mi diede un insperato aiuto a capire l'innovazione digitale tramite un suo saggio, Giuliana Bruno "Professor of Visual and Environmental Studies" a Harward di cui stracito il bellissimo Atlante delle emozioni in tante cose scritte e  dette e per ultimo la grandissima Frances Yates, il cui saggio l'Arte della Memoria è al centro di tutto il mio pensiero sulle tecnologie digitali. E di loro e dei loro saggi ci sarà modo di parlarne.)

Per finire, un augurio a Tribù Italia, e alla loro iniziativa.

Image attribution: 'Miracle Equipment Company ad, Parks and Recreation,+Aug+1974+(inside+cover)'
http://www.flickr.com/photos/7776581@N04/4298082203

domenica 22 maggio 2011

Ciò che vedo è vero, ciò che vivo è autentico

"...ma ciò che ancor più fondamentale era la scoperta che si doveva chiudere il sistema nervoso per dar ragione del suo funzionamento e che la percezione non doveva essere vista come la comprensione di una realtà esterna, ma piuttosto come la specificazione di questa, perchè non era possibile alcuna distinzione fra percezione e allucinazione nell'operare del sistema nervoso come rete chiusa.  Sebbene fossimo arrivati a questa conclusione attraverso lo studio della visione del colore ci sono molti esperimenti precedenti (...) che avrebbero potuto condurre ad una comprensione come rete chiusa di neuroni interagenti. Se ciò sia avvenuto o no io non lo so, ma anche se è avvenuto sembra che le sue implicazioni non siano state seguite sino alle loro conseguenze finali."

"... ci possiamo chiedere se oggi agli inizi del terzo millennio la trasformazione della struttura della funzione di paesaggio non sia progredita al punto da rendere già obsolete le riflessioni che la cultura teorica svolge per cercare di ricondurre la cosiddetta "logica dei non-luoghi" a quella più tradizionale di luogo antropologico. In realtà è possibile considerare i non-luoghi di Augè anche sotto un altro punto di vista, caratterizzandoli comunque come "luoghi a tutti gli effetti" negando quindi che possono realmente alterare il tessuto socioculturale attraverso una contrapposizione essenziale ai luoghi antropologici.
Questo tema meriterebbe uno studio apposito, ma possiamo qui osservare che invece di "non-luoghi" si potrebbe forse parlare di "neoluoghi", cioè di parti dello spazio rielaborate dalla cultura umana secondo logiche innovative rispetto a quelle tipiche della modernità." 

Quando rientrai dopo mesi di lontananza, alla fine di un percorso di frequentazione e di lavoro in Second Life, avevo abbandonato tutte le mie precedenti dimore. L'avere un luogo, della "terra mia" dove costruire il  palcoscenco delle mie attività virtuali, fossero anche state attività solitarie come guardare scendere la notte digitale, è parte essenziale del mio essere in un mondo sintetico.

Molte volte mi è capitato di entrare solo per assistere al luccichio dell'acqua, allo scorrere delle nubi o per sentire il rumore del vento. Amo le sim ben fatte paesaggisticamente parlando. Ricordo ancora oggi, una bella e ispirata chiaccherata con Zogia Zabelin, sulla terrazza di una delle mie prime abitazioni, a Trasimeno, e mi ricordo le tante volte in cui nel periodo invernale, la sim addobbata con neve e ghiaccio guardare il mio bosco di abeti rossi immerso nella neve  e nel buio, a Catur.

Ho ripreso una piccola parcel, a Lionheart. Zona residenziale, belle costruzioni (mediamente) e una buone modellazione del territorio. Ho un gran prato. Mi ci sdraio e tra l'erba guardo il cielo, la musica del canale Ambient di  Magnatune in cuffia.

In uno dei week end scorsi sono tornato a Levico, in trentino. E' uno dei miei luoghi preferiti, amo la montagna e ho orrore di spiagge roventi e affollate. Un prato ai bordi dell'albergo è in parte falciato e in parte ricolmo di un maggese fantastico. sembra un muro d'erba.  Mi siedo nella parte falciata e guardo verso l'erba e l'orizzonte della mia posizione viene occupato solo da un filare di grandi platani, dalle montagne e dal cielo. Sotto l'erba si sono celate abitazioni e auto.


Muro di maggese,  Levico 
Muro di maggese, Lionheart


Che cosa sono per ME quelle due esperienze? In cosa si distingueranno nel mio ricordo? Intanto si somigliano molto: per quanto mi riguarda in entrambi i casi ho deciso di sedermi e guardare il paesaggio che mi circondava.  Mi sforzo ora di ricordarmi ciò che i sensi diversi dalla vista mi riportano di questa esperienze. Le tracce sono molto più deboli, probabilmente mi ricordo del profumo dell'erba, ma non sono certo che ciò che ricordo come percezione sia di quel momento o è un ricordo repertoriato  già in me da altre esperienze. Non mi ricordo proprio nulla di particolare derivata della mia posizione.

Disambiguare le due esperienze non è nelle miei intenzioni. Credo invece che esse abbiano operato su di me similmente e si ascrivono entrambi nella mia memoria come ricordi di paesaggio.

L'aptico non c'entra? Si, assolutamente, ma in forme e in modi diversi: ho memoria e vivissima di esperienza trasmesse più dal corpo che dalla vista, ma riconosco che queste sono, sebbene vividissime, molto molto rare. Per contro però non ho alcuna memoria di percezione aptiche derivate da una esperienza da avatar.
Sfinge, Val Masino,  via Ratti-Bramani.
Aptico vividissimo
Second Life, luogo imprecisato,
Aptico irrilevante

Questo mi riconferma nella mia convinzione che l'assenza di una  percezione aptica  propria della virtualità al suo stato attuale di sviluppo nei metamondi è da una parte sopperito dallo sviluppo di sensi alternativi, l' Empatia come ho già affermato, e dall'altro ci  ribadisce come, prima che riescano a svilupparsi interfacce aptiche efficaci ( e ancora  a mio parere  non saranno sufficienti...) il senso ( e il limite)  delle esperienze sintetiche sta proprio in questo iato tra potenzialità probabilistica della virtualità e immanenza della realtà.

Le due citazioni.
La prima è di Humberto R. Maturana, dal suo saggio (condiviso con Francisco J. Varela)  "Autopoiesi e cognizione, la realizzazione del vivente" Biblioteca Marsilio, Venezia, quinta edizione 2004.
Il corsivo è mio. Qui voglio sottolineare come la virtualità dell'esperienza non preclude la sua autenticità per me che l'ho vissuta.

La seconda è di Eugenio Pesci, dal saggio "La Terra parlante, Dai paesaggi originali ai  non-luoghi  alpestri" CDA&Vivalda, Torino, 2004.
Anche in questo caso, il corsivo è mio e ribadisce come lo spazio culturale umano, e dunque anche quello dei mondi sintetici, siano (possano essere)  luoghi a tutti gli effetti, dove vivere un'esperienza.